Metodologia

I corsi della formazione in counseling, al contrario del training di tantra, contengono pochissime pratiche del tantra tradizionale, ma, senza tradire i suoi principi, si basano su un paradigma empirico o scientifico ampiamente accettato nella cultura occidentale, insegnando metodi del counseling che ti servono per consigliare i tuoi clienti in un ampio spettro di tematiche della vita.

Usiamo un modello integrato, basato sul principio fenomenologico-ermeneutico della psicologia umanistica, che focalizza maggiormente sul problem-solving nel “qui e ora”. Perciò include l’analisi del passato soltanto nella misura necessaria per comprendere i condizionamenti attuali.

Le principali scuole di riferimento per il counseling relazionale sono:

  • IBP-Counseling (proveniente dall’Integrative Body Psychotherapy)
  • Approccio centrato sulla persona (Carl Rogers) e Gestalt (Fritz Perls)
  • Ristrutturazione del linguaggio e scienza della comunicazione
  • Bioenergetica (dinamiche intrapersonali tra corpo, mente ed emozioni)
  • Costellazioni familiari e sistemiche
  • Counseling alla coppia e sessuologico
  • Modello relazionale dei chakra proveniente dal tantra.

Come si sa nell’IBP i metodi appresi soltanto sul piano cognitivo sono meno integrati nella personalità del counselor e perciò meno disponibili durante le sessioni con i suoi clienti. Per questo motivo riteniamo molto importante che tutte le tecniche e i concetti del counseling vengano sperimentati su se stessi per poterli interiorizzare, e che questa esperienza avvenga sul piano corporeo (felt sense di E. Gendlin) oltre che su quello cognitivo ed emozionale.

Questo approccio e il modello bioenergetico che negli anni 70 sono stati sviluppati empiricamente, a posteriori hanno trovato anche una conferma scientifica in alcune scoperte recenti della neurofisiologia e della cibernetica dei sistemi biologici complessi, come: l’autopoiesi del sistema nervoso di H. Maturana, la neurobiologia della coscienza di Gerhard Roth, la teoria polivagale di S. W. Porges, le ricerche sul Post Traumatic Stress Disorder di P. Levine.

Nel processo di counseling più che l’uso dei singoli metodi ci sta a cuore l’approccio olistico dell’intervento nella relazione con il cliente. Operiamo con il modello della personalità a 4 livelli: sensazioni corporee, sentimenti, cognizioni e spirito per superare la separazione cartesiana tra mente e corpo, che consideriamo un “handicap” collettivo, caratteristico del nostro tempo e della nostra cultura.
Vogliamo che il counselor impari a istaurare un proficuo colloquio di sostegno con la giusta dose di empatia e di rispecchiamento adeguato, che sia in attunement mentre confronta il cliente con le proprie ombre, che impari a seguire l’energia vitale del cliente (energy tracking di J. L. Rosenberg), che sappia dirigere il processo di counseling e programmare le sessioni.

L’apprendimento esperienziale consente di “imparare praticando” in un setting che varia con la tematica: sessioni dimostrative, giochi di ruolo, simulazioni, esercitazioni di counseling in diade o triade, feedback da parte di osservatori, supervisione in piccoli gruppi e nel plenario.

Il nostro approccio personale al counseling

Con tutto il rispetto per l’effettiva necessità di regolamentare certe professioni sensibili (p.e. gli operatori della salute fisica e psichica), concordiamo con quegli esponenti contemporanei critici che parlano del diffondersi di una “cultura delle carte”, nella quale il professionista rischia di identificarsi più con il proprio diploma che con il proprio sé e con la sua condizione umana.
La troppa identificazione con la professione di sostegno comporta due rischi per se stessi e per i clienti:

  • Con l’atteggiamento di “io sono un counselor” l’operatore induce una reazione vittimistica nel cliente che di conseguenza pensa “se tu sei lo specialista, allora dammi la soluzione”. Da quel momento in poi diventa passivo, si chiude verso il principio dell’ “essere aiutato ad aiutarsi” e le sessioni assomigliano più a un duro lavoro contro le “resistenze” del cliente che a un processo di crescita personale.
  • Spesso i counselors, come altri professionisti di sostegno, all’inizio della loro carriera tendono a gonfiare il proprio ego sentendosi leggermente superiori rispetto al cliente e traggono autostima dall’aiutare qualcuno che apparentemente ha più problemi di loro stessi. Verso la metà della vita questa concezione egoica crolla come un castello di carte e un burn-out diventa probabile. In più l’immagine di sé, costruita intorno all’idea di “uno che sa”, impedisce al counselor di chiedere aiuto altrove e ostacola la sua crescita personale. E’ caduto in una trappola, la stessa degli psicoterapeuti di coppia che soffrono più di altre persone quando la loro coppia entra in crisi o gli psichiatri che si trovano tra le categorie con il più alto tasso di suicidi.

Detto ciò, vogliamo essere chiari. Se sei alla ricerca di un diploma di counselor, ma sei restìo a metterti in gioco o a lavorare su di te e sulle tue ombre, ti avvertiamo: non rivolgerti a noi!
Dopo migliaia di ore di formazione e di percorso personale, dopo 18 anni che insegniamo l’appreso agli altri, sappiamo che il nostro viaggio verso il profondo della coscienza umana è appena iniziato. Sicuramente non riusciremo a farti credere “che tu sia arrivato” quando ti consegneremo il diploma di counselor.

Anzi, se vuoi diventare un buon counselor (e non uno mediocre) ti consigliamo di combinare la formazione ricevuta da noi con un’altra formazione con un metodo complementare, oppure con una formazione specifica per il tuo ambiente professionale. Se vuoi infine mettere la ciliegina sulla torta, puoi affiancare il tutto con sessioni individuali presso uno psicoterapeuta o counselor di tua fiducia, che lavora con un approccio complementare.